Skip to main content

17set21:00Bellini & FriendsPalermo, Palazzo SteriPalermo, Cortile Abatelli di Palazzo Steri, Piazza Marina, 6021:00

Dettagli evento

Federico Santi direttore
Maria Tomassi soprano
José Cura tenore

Orchestra Sinfonica Siciliana

Pietro Mascagni
Cavalleria rusticana
Preludio e Siciliana
“Voi lo sapete, o mamma”

Ruggero Leoncavallo
Pagliacci
Prologo “Si può? Si può”
“Qual fiamma avea nel guardo”
Intermezzo
“Recitar… vesti la giubba”

Vincenzo Bellini
Norma
Sinfonia

Consegna “Premio” a José Cura

Vincenzo Bellini
Norma
Sinfonia

Consegna “Premio Bellini” a José Cura

Vincenzo Bellini
Norma
“Va, crudele, al dio spietato”

Il Pirata
“Col sorriso d’innocenza”

Giacomo Puccini
Manon Lescaut
Intermezzo
“Tu, tu, amore, tu?”

Giuseppe Verdi
La forza del destino Ouverture

Otello
“Dio, mi potevi scagliare”

In collaborazione con Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana


Composta nel 1889 in appena due mesi su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, Cavalleria rusticana fu rappresentata per la prima volta al teatro Costanzi di Roma il 17 maggio del 1890 sotto la direzione di Leopoldo Mugnone ottenendo un successo tale da rendere famoso il suo compositore. Il successo dell’opera di Mascagni non fu inaspettato, in quanto Cavalleria rusticana aveva vinto l’anno prima il concorso indetto dall’editore Sonzogno dopo essere stata esaminata da una commissione di cui facevano parte Sgambati, Marchetti e Platania. L’opera si apre con un preludio dalla struttura formale piuttosto ardita con la celeberrima Siciliana, incastonata al suo interno e cantata a sipario chiuso da Turiddu, che il compositore decise di non inviare insieme con il plico dell’opera nel timore che fosse giudicata troppo azzardata. Questa Siciliana taglia in due il preludio proprio nel momento di massima tensione, quando l’orchestra a pieno organico riprende uno dei passi più drammatici del duetto tra Turiddu e Santuzza. Il drammatico duetto tra Santuzza e Turiddu, vero centro dell’opera, informa questo preludio, nel quale emerge la contrapposizione tra il carattere religioso della festa della Pasqua, rappresentato all’inizio, e il dramma della gelosia che prende forma nel contrastato rapporto tra i due protagonisti. Proprio mentre questo dramma sta per deflagrare con la ripresa in crescendo di uno dei passi più drammatici di questo duetto, in modo sorprendente, si staglia la splendida Siciliana introdotta da un languido accordo di quarta e sesta sulla dominante di fa minore affidato all’arpa. Questo brano, con il quale i librettisti conferirono all’opera un colore siciliano e marcatamente realistico reso perfettamente dall’uso del dialetto, ha un’importanza fondamentale nello sviluppo dell’opera, in quanto introduce il pubblico direttamente in medias res, mettendolo al corrente dell’amore adulterino tra Turiddu e Lola. La Siciliana ha, inoltre, l’effetto di ritardare la deflagrazione del dramma che puntualmente si verifica con la ripresa delle ultime tre battute. Nel finale del preludio la ripresa del tema dell’appassionato Ah! No Turiddu focalizza l’attenzione su Santuzza, vero motore del dramma e personaggio estremamente problematico per la ricchezza di sfumature psicologiche. Nella romanza, Voi lo sapete, o mamma, Santuzza racconta il forte sentimento d’amore che la lega a Turiddu, ma anche il tradimento di quest’ultimo che, ancora innamorato della sua ex-fidanzata Lola, continuava a frequentarla quando il marito è assente. Musicalmente la romanza ha una struttura tripartita; la prima parte presenta un carattere narrativo che assume toni drammatici nel momento in cui Santuzza ripete per ben due volte l’amai su un accompagnamento orchestrale che riprende il tema iniziale quasi a scandagliare il cuore della donna, mentre la seconda parte (Quell’invida) è caratterizzata da una rielaborazione del tema orchestrale già udito quando era stato presentato questo personaggio. Nell’ultima parte della romanza si concentra, in una scrittura certamente più lirica, il dramma di Santuzza disonorata e tradita perché Lola e Turiddu s’amano

Argomento de I Pagliacci, come Leoncavallo ebbe a dire nel Prologo, è un nido di memorie, in quanto l’opera è ispirata a un fatto di cronaca, che non si svolse nei termini con cui è stato descritto nell’opera e riguardò il ventenne Gaetano Scavello, al servizio della famiglia del compositore, ucciso dal calzolaio Luigi D’Alessandro per motivi di gelosia essendo entrambi innamorati di una ragazza del paese. Rappresentata, per la prima volta, al Teatro Dal Verme di Milano il 21 maggio 1892 sotto la direzione di un giovanissimo Toscanini, l’opera fu un trionfo. Pagina giustamente celebre, il Prologo è aperto da un’introduzione strumentale in cui, dopo un vivace tema saltellante, che sembra rappresentare l’ambiente dei saltimbanchi, vengono esposti alcuni dei temi principali dell’opera e, in particolar modo, il motivo, qui affidato ai corni, della romanza Vesti la giubba, che accompagna le parole Ridi Pagliaccio, sul tuo amore infranto e che rappresenta la disperazione del protagonista di fronte alla rivelazione del tradimento della moglie, oltre a quello del duetto d’amore tra Nedda e Silvio. Con il successivo Prologo “vocale”, la cui reintroduzione è giustificata solo apparentemente dalla presenza delle antiche maschere, Leoncavallo espresse, invece, la sua poetica, restituendo, quindi, a questo momento la funzione metapoetica di discorso sul teatro, di derivazione latina, in particolar modo, terenziana, e, in questo caso, sul teatro verista. La verità a cui aspirò il compositore è, però, quella dei sentimenti, che presiedono e determinano i comportamenti degli uomini, e all’artista, uomo come gli altri, come il suo pubblico, come gli stessi attori dotati di un’anima, spetta il compito di svelarli e di mostrarli nella loro realtà in una concezione del teatro che si fa sempre più vita, investendo gli aspetti più intimi dell’uomo. Tonio-Taddeo, dopo aver rivolto al pubblico una forma di captatio benevolentiae, chiedendogli di considerare il fatto che anche loro sono uomini di carne e ossa, invita in modo metateatrale i compagni a incominciare la rappresentazione. Nel primo dei due atti, Nedda, rimasta sola sulla scena, su un angoscioso sincopato degli archi che accompagna il tema della gelosia di Canio, scuro e insinuante nella parte dei violoncelli per poi dare vita a quello lirico e pieno di slancio del duetto d’amore, intona la romanza Qual fiamma avea nel guardo, nella quale appare turbata dalle parole del marito, che aveva, poco prima minacciato di vendicarsi in caso di tradimento, quando il canto e il volo degli uccelli, evocati onomatopeicamente dall’ottavino, dal flauto e dall’arpa, le suggeriscono la ballatella, Stridon lassù, nella quale afferma che anche gli uccelli del cielo sono irrequieti, come gli uomini, perché alla ricerca di qualcosa che sfugge loro. Realtà e finzione scenica sono i motivi caratterizzanti l’Intermezzo che si apre con un inquietante e drammatico tema nel quale agli archi, raddoppiati dal fagotto, dai clarinetti e dal corno inglese, rispondono, con un inciso pensoso e incerto, i flauti. Dopo questa breve introduzione i violini primi espongono, variandolo leggermente, il tema che accompagnava i versi citati in precedenza affidati nel Prologo a Tonio. Il dramma, che sembra materializzarsi in questa prima parte dell’Intermezzo, viene stemperato nella sezione successiva dove è ripreso il tema conclusivo del Prologo, che accompagnava le parole di Tonio: «E voi, piuttosto / che le nostre povere gabbane d’istrioni». Alla fine del primo atto, mentre si prepara per la recita, Canio, che ha già scoperto il tradimento della moglie, intona la famosa romanza Vesti la giubba, nella quale, identificandosi con il personaggio che dovrà interpretare sulla scena, manifesta tutto il suo dolore su un tema che mostra la sua parentela con quello di Un nido di memorie.

Composta in meno di tre mesi tra l’inizio di settembre e la fine di novembre del 1831, Norma è una delle sue opere più note, nonostante il fiasco della prima rappresentazione avvenuta il 26 dicembre dello stesso anno alla Scala di Milano. L’opera si apre con la splendida Sinfonia, che ne introduce il clima drammatico sin dal celeberrimo incipit costituito da perentori accordi in sol minore intercalati da pause. Dopo un primo tema agitato e nervoso, che anticipa, secondo l’uso romantico introdotto da Weber, alcuni momenti particolarmente drammatici dell’opera e soprattutto alcuni interventi dell’orchestra durante i recitativi, appare in sol maggiore il tema del duetto dell’atto secondo tra Norma e Pollione. Dopo un nuovo ponte modulante nervoso e drammatico, questo tema riappare in si bemolle maggiore per cedere il testimone a un nuovo momento agitato che precede la suggestiva coda in sol maggiore, un’oasi di poetica contemplazione prima del breve e movimentato finale. Nel duetto (Va, crudele) del primo atto tra Adalgisa e Pollione,  la donna, giovane ministra al tempio di Irminsul, cerca di allontanare il proconsole che prima prorompe in uno scatto d’ira e dopo cerca di convincere la vergine, sempre più lacerata nel suo animo, a seguirlo a Roma. Adalgisa, dopo qualche resistenza, è convinta dal proconsole a seguirlo a Roma (cabaletta: Vieni in Roma!).

Patrocinato da Domenico Barbaja il quale, oltre ad essere impresario dei teatri napoletani, era anche appaltatore del Teatro alla Scala di Milano e raccomandato da Zingarelli e Mercadante che contribuì a fare conoscere Romani a Bellini, nel 1827 il compositore catanese approdò nel celebre teatro milanese con Il Pirata, il cui libretto di Romani tratto dal mélodrame Bertran, ou Le Pirate di I. J. S. Taylor, a sua volta ispirato alla tragedia in 5 atti di Charles Robert Maturin, Bertram, or The Castle of Saint-Aldobrand, presenta tutti gli ingredienti del dramma romantico. Rappresentata per la prima volta alla Scala il 27 ottobre 1827, l’opera ottenne un clamoroso successo grazie anche ad alcune pagine diventate celebri come l’aria  Col sorriso d’innocenza, tratta dalla famosissima scena della pazzia di Imogene.

Il libretto di Manon, rappresentata per la prima volta il 1° febbraio 1893 al Teatro Regio di Torino sotto la direzione di Alessandro Pomè, fu il risultato del lavoro di un’equipe di librettisti tra cui: Ruggero Leoncavallo che, suggerito da Ricordi, non soddisfece le aspettative del compositore; Marco Praga, figlio del poeta scapigliato Emilio, al quale si deve la struttura dell’opera, che, come richiesto da Puccini, non avrebbe dovuto essere un duplicato di quella di Massenet né ricalcare lo stile del grand-opéra, e, infine, Domenico Oliva, autore dei versi.  Collocato all’inizio del terzo atto, il celebre Intermezzo anticipa il triste destino dei due amanti e la morte di Manon. Dal punto di vista formale è aperto da un’introduzione basata su due Leitmotiv, rispettivamente quello del legame e quello del destino a cui segue un Andante calmo, caratterizzato da un tema di bruciante passione. Una bruciante passione informa anche il duetto (Tu, tu, amore?) del secondo atto tra Manon e Des Grieux interrotto dal repentino arrivo di Geronte.

Composta per il Teatro Imperiale di Pietroburgo sulle cui scene debuttò il 10 novembre 1862, La forza del destino fu rielaborata in seguito per La Scala dove fu rappresentata il 27 febbraio 1869. In quest’occasione Verdi sostituì il breve preludio, che, aperto dalle tre ottave esposte dai fiati, prosegue con il trascinante tema del destino, con quello del perdono e con quello della preghiera di Leonora con l’attuale sinfonia, nella quale il compositore aggiunse altri temi salienti sviluppati in una struttura più coerente grazie alla quale questa pagina ha una sua vita anche nel repertorio sinfonico. 

Piuttosto lunga e travagliata fu la genesi dell’Otello di Verdi, alla cui realizzazione ha contribuito l’abilità diplomatica di Giulio Ricordi il quale riuscì ad appianare i contrasti tra il Cigno di Busseto e Arrigo Boito, scaturiti dalla pubblicazione da parte di quest’ultimo, dell’Ode saffica all’arte italiana. L’ode, nonostante una nota redazionale con la quale si chiariva il carattere occasionale e goliardico dell’episodio, irritò fortemente Verdi che si identificò nel vecchio e nel cretino della prima strofa.  Sarebbero passati molti anni, nei quali i due artisti posero mano insieme al rifacimento del Simon Boccanegra, prima che decollasse la collaborazione che avrebbe portato alla composizione di Otello che, alla prima rappresentazione avvenuta a Milano il 5 febbraio 1887, ottenne un grande successo. Nel terzo atto, Otello, rimasto solo e in preda ai fantasmi della sua gelosia, si produce in uno degli a soli più lunghi e commoventi del teatro musicale, Dio! mi potevi scagliar.


 

Federico Santi

Direttore

Nato a Torino dove studia composizione, direzione d’orchestra, pianoforte e musica da camera, si afferma a livello internazionale nel 2008 con la vittoria del Primo Premio e il Premio Speciale dell’Opera di Nizza al 4° Concorso Internazionale per direttori di Orvieto.

Questo primo grande successo lo porta al Concertgebouw di Amsterdam, al Teatro Bunkakaican di Tokyo e all’Opera Bellas Artes di Città del Messico.
Allo stesso tempo, inizia una lunga collaborazione con il Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, dirigendo un vasto repertorio tra cui Lucia di Lammermoor, Lucrezia Borgia, Anna Bolena, La favorita, Linda di Chamounix, Gemma di Vergy, La sonnambula, Il Pirata, Beatrice di Tenda così come I Capuleti e i Montecchi nell’ambito del prestigioso Festival “Stars of the White Nights”.

Federico Santi ha più di 50 opere nel suo repertorio. Ha collaborato con il Teatro Comunale di Bologna, l’Opera di Rouen, l’Opera di Montpellier, l’Opéra Grand Avignon, l’Opéra Royal de Wallonie de Liège, il Forest National di Bruxelles, il Festival di Alden Biesen, il Teatro del Bicentenario di León in Messico, l’Ente Luglio Musicale Trapanese, l’Ente Concerti Marialisa de Carolis di Sassari, il Festival di Alessandria, l’Opera Nazionale di Timisoara, il Teatro Stanislavsky e Nemirovich-Danchenko di Mosca.

Si dedica inoltre allo studio e all’approfondimento di un vasto repertorio sinfonico, dirigendo numerosi concerti lirici e sinfonici, da Haydn ad autori contemporanei, con particolare attenzione al romanticismo e al post-romanticismo tedesco, russo e francese.

 

Maria Tomassi

Soprano

Dopo essersi diplomata al Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila col massimo dei voti, si perfeziona all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma con il soprano Renata Scotto. Vince numerosi concorsi Internazionali in Italia e all’estero.

Nel 2006 si aggiudica il “Concorso Internazionale Toti dal Monte” e debutta al Teatro Comunale di Treviso nel ruolo di Alice nel Falstaff di Verdi, con la direzione di Corrado Rovaris e la regia di Antonio Calenda.
Da allora debutta in numerosi ruoli in Italia e all’estero. Ha interpretato Tosca di Puccini al Teatro Antico di Taormina e Manon Lescaut all’Arts Center di Seoul ed è un’apprezzatissima Mimì nella Bohème di Puccini al Teatro delle Muse di Ancona, al Teatro del Giglio di Lucca e al Teatro Politeama di Lecce.

Raffinata interprete mozartiana, è Fiordiligi nel circuito ASLICO di Como, Donna Elvira al Teatro Olimpico di Roma, Donna Anna nel Don Giovanni, Contessa nelle Nozze di Figaro all’Art Center di Seoul, Suor Angelica di Puccini al Teatro Marrucino di Chieti, una lodevole Violetta nella Traviata di Verdi al Teatro Coccia di Novara, Odabella in Attila a Udine e un’appassionata Tosca al Teatro Antico di Taormina e al Teatro Greco di Siracusa.

Si esibisce in rinomati festival quali: Palazzetto Bru Zane di Venezia, Felix Mendelssohn Music Day di Cracovia, Busta Festival di Beiruth, Festival di Musica Sacra di Cortona, Ravenna Festival, Palazzo delle Esposizioni e all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

Ha inoltre cantato alla presenza di Sua Santità Benedetto XVI in diretta mondiale dalla Basilica di San Paolo di Roma.

 

José Cura

Tenore

Dopo aver studiato composizione e direzione d’orchestra nella sua città natale, Rosario, José Cura si trasferisce a Buenos Aires nel 1984 per arricchire le sue esperienze musicali. Per approfondire le conoscenze sulla vita teatrale, lavora in uno dei cori professionali del Teatro Colón, dal 1984 al 1988, sviluppando la sua voce nel caratteristico timbro di tenore, con sfumature di baritono scuro, che negli anni lo porta alla fama internazionale.

Nel 1999, riprende la sua carriera di direttore, con orchestre come la London Philharmonia, la London Symphony Orchestra, l’Orchestra Filarmonica di Vienna, la Sinfonia Varsovia, l’Orchestra Arturo Toscanini, la Hungarian Philharmonic, eseguendo un repertorio lirico e sinfonico.

Il 2014 segna il ritorno di José Cura alla sua attività di compositore: a novembre, la South Bohemian Opera presenta in prima assoluta il suo Stabat Mater, scritto nel 1989. A Pasqua 2015, dopo il suo ritorno come Don José al Teatro alla Scala, esegue in Prima Mondiale al Teatro Massimo Bellini di Catania il Magnificat.

Dal 2015 al 2018, José Cura è Artista Residente dell’Orchestra Sinfonica di Praga. Nell’ambito dei suoi impegni con l’ensemble ceco, dirige la prima del suo Trittico Ecce Homo. Nel febbraio 2019, José Cura diventa il primo Artista ospite principale – cantante, compositore e direttore d’orchestra – nella storia della radio ungherese.

Il suo Te Deum è presentato con enorme successo in prima assoluta con la Philharmonia Orchestra di Londra nel settembre 2021, nel corso del Festival Enescu a Bucarest; il suo Concierto para un Resurgir per chitarra e orchestra, è eseguito a Saarbrücken, insieme alla Suite sinfonica.

Il suo Requiem æternam per triplo coro, solisti e orchestra, esordisce in prima assoluta a Budapest nel 2022, con i gruppi artistici MTVA e il coro nazionale ungherese.

Nel 2015, viene insignito dal Senato argentino del “Premio Domingo Faustino Sarmiento” per i successi nel campo dell’istruzione e della cultura.
Dal 2017 è Professore Honoris Causa dell’Università Nazionale di Rosario, dove effettuò gli studi di compositore nel decennio del 1980.