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I compositori passati alla storia per la loro produzione operistica vantano quasi sempre anche un pregevole catalogo di musica da camera, più o meno cospicuo, in cui è dato rinvenire un versatile interscambio creativo con le partiture teatrali. Rivelatrice appare, sotto tale aspetto, la frequenza di autoimprestiti, ovvero di temi musicali che non solo passano da un’opera all’altra ma anche da un genere all’altro. È  questo il focus del concerto “L’Ottocento operistico nella musica da camera”, quarto appuntamento del ricco e variegato Bellini International Context,  il festival promosso da Regione Siciliana-Assessorato Turismo Sport e Spettacolo per rendere omaggio al genius loci Vincenzo Bellini, anch’egli operista d’elezione e tuttavia non estraneo ad altri cimenti compositivi.

L’evento, fissato per il 12 settembre alle ore 21 nella cornice normanna di Castello Ursino, propone appunto  pagine cameristiche di due maestri del teatro musicale come Meyerbeer e Donizetti. Il progetto è  realizzato in collaborazione con il Teatro Massimo Bellini. Protagonista sarà il Quartetto d’archi “Vincenzo Bellini”, nato nel 2017 proprio per volontà della direzione artistica dell’ente lirico etneo, con lo scopo di divulgare la musica lirica, orchestrale e corale, tramite gruppi cameristici composti da musicisti del Teatro. Il repertorio dell’ensemble, che si è esibito per importanti festival e associazioni  nazionali, abbraccia celebri  operisti, autori siciliani e composizioni rare: da Mozart a Donizetti, da Verdi a Zandonai, da Paisiello a Pacini, da Meyerbeer a Massenet, ma anche Platania, Scontrino, Arcidiacono, Sollima. Il gruppo,  i cui singoli membri vantano collaborazioni con illustri personaggi dello spettacolo,  è formato da  Alessandro Cortese (violino primo),  Giovanni Cucuccio (violino secondo), Luigi De Giorgi (viola), Vadim Pavlov (violoncello). A loro si aggiungerà Angelo Litrico (clarinetto) per completare l’organico del primo brano in programma, ovvero il Quintetto per clarinetto e quartetto d’archi in mi bem. magg. di Meyerbeer, cui seguirà il Quartetto d’archi n. 18 in Mi minore di Donizetti.

Come ricorda il musicologo Dario Miozzi nelle note di sala, Giacomo Meyerbeer (in realtà Jakob Liebmann Meyer Beer) italianizzò il suo nome proprio nel periodo in cui lavorò in Italia, tra il 1815 e il ’24. Nato in una ricchissima famiglia tedesca di origini ebraiche,  rivelò presto un precoce talento come pianista. Decise poi di dedicarsi al teatro d’opera, preferendo la vocalità italiana al Singspiel tedesco di Mozart e Weber. Trasferitosi nel Belpaese, dal 1817 iniziò a comporre melodrammi italiani sulla scia stilistica rossiniana; il maggior riscontro l’ebbe con Il crociato in Egitto del 1824. In quello stesso anno si stabilì a Parigi, dove si andava definendo e affermando il genere spettacolare del Grand-Opéra. Nel 1831 presentò Fra Diavolo, il suo primo grand-opéra, su libretto di Eugéne Scribe, che ebbe un enorme successo. Da quel momento e per il successivo ventennio, Meyerbeer fu il dominatore incontrastato dell’opera internazionale.

Il Quintetto in mi bemolle maggiore per clarinetto e archi fu composto molto prima, tra il 1812 e il ’13, da un Meyerbeer poco più che ventenne. “Lo stile – osserva Miozzi –  è elegante e scorrevole, quale si può ritrovare in analoghe composizioni di Spohr o di Weber. Fin dall’Allegro moderato iniziale si nota una mano sicura e già esperta nell’organizzare la struttura della composizione: il dialogo del clarinetto con gli archi lascia infatti il giusto spazio alle libere divagazioni dello strumento solista. Il movimento centrale è un Andante, preceduto da un breve adagio introduttivo, in cui il clarinetto svolge una serie di agili variazioni. Più interessante è il finale, un Allegro cantabile in forma di Rondò, ricco di spunti originali, in cui ha modo di emergere il brillante virtuosismo dello strumento solista; un’espressiva sezione centrale in tempo lento, precede il breve episodio conclusivo”.

All’opposto di Meyerbeer, il bergamasco Gaetano Donizetti nacque da una famiglia poverissima e dovette a lungo convivere con gravi ristrettezze economiche. Allievo di Giovanni Simone Mayr, un musicista bavarese trapiantato a Bergamo che, oltre ad avviarlo al mestiere teatrale, gli fece conoscere il repertorio strumentale austro-tedesco. Donizetti compose un’imponente quantità di musica sinfonica e cameristica. In quest’ultima spiccano i diciannove quartetti per archi, scritti tra il 1817 e il 1836, anno di composizione del Quartetto in mi minore, penultimo della serie. Come nota ancora Miozzi: “Dal primo tempo l’autore ricavò l’ouverture per la Linda di Chamounix (1842), ma ciò non deve indurci a pensare ad una dominanza del modello operistico su una produzione di secondaria importanza. Al contrario, la prolungata pratica quartettistica è indice in Donizetti di un interesse non marginale verso un genere strumentale che gli offrì spunti non superficiali specialmente sul piano espressivo; spunti che si ritrovano nell’Allegro e nell’Adagio del Quartetto in mi minore grazie alla sua naturale vena melodica e ad alcune garbate reminiscenze haydniane; Minuetto e Allegro giusto sono il terzo e l’ultimo tempo di questa gradevole composizione”.

L’ingresso è libero su prenotazione fino ad esaurimento di posti. Info: www.bellinicontext.it  e www.visitsicily.info